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Fisiatra, fisioterapista, chinesiologo, neurochirurgo, osteopata o agopunturista? Il ventaglio di specialisti e terapie a cui rivolgersi per il dolore alla schiena è ampio e orientarsi può essere complesso. “Non è semplice identificare con precisione le cause della lombalgia, quindi se il percorso diagnostico non è strutturato correttamente è facile sbagliare terapia, sottoponendosi a trattamenti inutili“. Il tema riguarda un’ampia fetta di popolazione e la pandemia ha esacerbato la situazione. Ormai le indagini si sprecano: secondo una recente pubblicata sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, la prevalenza del mal di schiena è passata dal 38,8% del pre-quarantena al 43,8% dopo il lockdown, mentre una ricerca condotta da Assosalute durante il primo periodo di chiusura riporta che un italiano su due ha sofferto più spesso di dolori posturali nei mesi di lockdown. Al primo posto mal di schiena (49%), seguito da dolori al collo (37%) e dolori alle articolazioni degli arti inferiori (29%). Tra le cause citate attività fisica fai-da-te, eccessiva sedentarietà e posture sbagliate durante il lavoro casalingo su sedie non ergonomiche o addirittura sul divano.

“La lombalgia può nascere da posizioni scorrette, sedentarietà, sovrappeso e quindi da un coinvolgimento di strutture muscolo-tendinee, articolari, discali, ossee; ma può nascere anche dal coinvolgimento delle radici nervose”. Idealmente, il primo step di fronte a un dolore lombare acuto è il medico di base: se il dolore persiste nonostante il riposo e le prime cure farmacologiche, lo specialista a cui viene indirizzato il paziente è il fisiatra, che a sua volta può rimandare a fisioterapista, chinesiologo, osteopata o agopunturista; se invece si evidenzia un deficit neurologico, quindi ad esempio la perdita di forza improvvisa in una gamba oltre che il dolore lombare, lo specialista più adatto è il neurochirurgo. “I due esami cardine per una diagnosi corretta sono la radiografia lombare e la risonanza magnetica, sono i più indicati perché riescono a evidenziare eventuali traumi muscolo-scheletrici, ernie o infiammazioni nervose”.

Ernia del disco, guarire senza il chirurgo
Il fisiatra è il medico che effettua la diagnosi, quindi nel caso della lombalgia ne individua la causa e sviluppa il percorso più indicato per il recupero delle funzionalità motorie. Da non confondere con il fisioterapista, che viene eventualmente indicato dal fisiatra per la rieducazione motoria e posturale. “Una volta che si è capito che si tratta di una lombalgia nata da posture scorrette, muscolo-tensiva, e non sono presenti condizioni patologiche più gravi, si imposta un progetto riabilitativo individuale in cui si indicano al paziente gli specialisti a cui rivolgersi con istruzioni relative alla frequenza e al tipo di azioni terapeutiche”. Il fisiatra ha a disposizione diverse opzioni: rieducazione motoria e posturale (gli specialisti di riferimento sono fisioterapista e chinesiologo), terapie manuali (soprattutto a carico di osteopati), agopuntura o terapie fisiche, come la Tecarterapia, “che sfrutta la corrente elettrica non percepibile prodotta da un macchinario elettromedicale per generare calore e scaldare i tessuti in profondità. Così migliora la circolazione, facilita la riduzione dell’infiammazione e rilassa i muscoli contratti”. Per fare un esempio, il fisiatra può indicare trattamenti fisioterapici una volta a settimana per rinforzare la muscolatura lombare, uniti a una seduta osteopatica al mese per riequilibrare la postura.
“Se il dolore è acuto è possibile prescrivere anche antidolorifici, ma in molti casi ci si trova di fronte pazienti che ne hanno già abusato”. Dopotutto per rimediare ai dolori posturali, secondo l’indagine Assosalute, il 42% degli italiani si è affidato a farmaci di automedicazione, come gli antinfiammatori non steroidei (Fans). “L’abuso dei farmaci da banco è un problema ben conosciuto, ma andrebbero utilizzati nella fase acuta solo per pochi giorni, direi massimo una settimana, dopodiché, soprattutto se il paziente soffre di patologie croniche (diabete, ipertensione, insufficienza renale, cardiopatia) è necessario affidarsi alla valutazione di un medico”.

Il fisioterapista e il chinesiologo
Il fisioterapista e il chinesiologo sono gli esperti del movimento. Il loro obiettivo è restituire la capacità motoria e di sostegno dei carichi al paziente. “Per prima cosa studiamo le caratteristiche del dolore: come compare, quando compare e durante quali movimenti o posture, dettagli a noi utili per capire quali parti del sistema locomotore, articolare o muscolare sono coinvolte”. Un esempio: se il dolore insorge dopo tante ore alla scrivania, il fisioterapista o il chinesiologo valutano i muscoli addominali, lombari e in generale la capacità del sistema locomotore a mantenere correttamente la posizione. “In questo caso è possibile effettuare un potenziamento della muscolatura che sostiene la colonna ed esercizi di mobilizzazione delle parti che si sono irrigidite, in media, un percorso riabilitativo efficace è strutturato in 8-10 sedute nell’arco di un mese, anche se talvolta il dolore può attenuarsi e scomparire già dalle prime sedute modificando semplicemente un movimento sbagliato”.

L’osteopata
Secondo un’indagine condotta dal Registro Osteopati d’Italia, il 20% della popolazione, cioè 10 milioni di italiani, si è rivolto almeno una volta a un osteopata e la gran parte, il 70%, lo ha fatto per dolori muscolo-scheletrici. “La lombalgia è in assoluto il primo motivo di consulto osteopatico, la prima cosa che facciamo è individuare la disfunzione somatica del paziente, cioè un’alterazione della funzionalità e della mobilità articolare, attraverso un esame obiettivo osteopatico composto da test palpatori”. Per alleviare una lombalgia non è detto venga manipolato il distretto lombare. “A seconda dell’origine del dolore potremmo andare a trattare il collo o qualsiasi altro punto del rachide, con l’obiettivo di ripristinare una corretta mobilità delle aree corporee ritenute disfunzionali”. In Italia l’osteopatia è stata individuata come professione sanitaria autonoma nel 2018, ma mancano ancora dei tasselli per la definizione del percorso universitario e dei criteri di equipollenza.

L’agopuntura
Per tanti anni vista con scetticismo, l’agopuntura è stata promossa dalla comunità scientifica nella gestione di alcuni tipi di sofferenza, proprio come quella lombare. “Per trattare un mal di schiena servono una decina di sedute, un paio a settimana, soprattutto in fase acuta”, una medicina alternativa e complementare basata su due approcci, uno occidentale e uno orientale. “Con il primo l’effetto antidolorifico ha trovato una spiegazione scientifica, perché l’agopuntura stimola a livello cerebrale la produzione di endorfine, i cosiddetti ormoni del benessere, e ha un effetto antinfiammatorio e miorilassante, la visione orientale, invece, dice che all’interno del corpo, a fianco della circolazione del sangue, esiste una circolazione di energia lungo la quale sono scaglionati dei punti di agopuntura che noi stimoliamo con gli aghi a seconda del problema del paziente. Gli aghi svolgono un’azione sia sul versante fisico che psicologico, quindi l’agopuntura è considerata utile anche per trattare aspetti mentali del paziente dolorante, come ansia e stress”.
Per alleviare i dolori lombari esistono dei punti ricorrenti, “ad esempio dietro il ginocchio, nel poplite, ma in base al paziente e al suo male possono cambiare”. In Italia l’agopuntura è considerata atto medico e come tale è praticabile solo da medici abilitati, molti dei quali iscritti nei registri degli ordini dei medici.

Il neurochirurgo
Discopatie, ernie del disco, stenosi del canale vertebrale: un mal di schiena può essere spia di patologie più gravi e di interesse neurologico. “In 9 casi su 10 la terapia non è chirurgica, anche quando il dolore nasce dal coinvolgimento di strutture nervose, le ernie del disco, ad esempio, comuni tra i giovani sia per predisposizione individuale sia per eventi traumatici durante l’attività sportiva, nella maggior parte dei casi si risolvono spontaneamente. La visita dal neurochirurgo è fondamentale per verificare quali radici nervose sono coinvolte e qual è il grado di sofferenza del nervo, ma se non c’è deficit motorio, l’ernia si può trattare inizialmente conservativamente, con cortisonici negli episodi acuti per ridurre l’infiammazione, e poi con un adeguato trattamento fisioterapico. Si interviene chirurgicamente solo in tre casi: con urgenza quando l’ernia coinvolge le ultime radici sacrali che regolano la capacità di trattenere o rilasciare le urine in modo volontario, quando c’è un deficit di forza grave o in peggioramento e quando il dolore persiste nonostante le terapie conservative, impedendo il recupero di una normale qualità di vita al paziente”.

Dolore cronico e terapia del dolore
Il risultato di percorsi terapeutici sbagliati può lasciare spazio a un dolore persistente, che non si risolve e si ostina per sei mesi, un anno. In una parola: cronico. “In questi casi non è più un sintomo, ma una patologia e come tale va trattata”. Il primo passo è la terapia farmacologica, ma qualora non dovesse bastare esistono tecniche di neuromodulazione elettrica. “Comprendono tecniche più semplici, come i trattamenti a radio frequenza, dove la stimolazione elettrica viene applicata solo per pochi minuti attraverso un sottile ago collegato a un generatore, fino a tecniche più importanti, di neurostimolazione midollare, dove con una chirurgia minimamente invasiva si impianta una batteria sottocute collegata a un elettrodo che fornisce stimolazione continua a livello del midollo spinale”. L’accesso alla terapia del dolore, con rimborso da parte del sistema sanitario nazionale, è garantito dalla legge 38 a tutti i pazienti cronici, ma non tutti lo sanno. “Da ultime statistiche è emerso che il 70% dei cittadini ignora questa legge, che in Italia è applicata a macchia di leopardo: ci sono territori dove il percorso previsto dalla legge funziona bene, in altri meno». A mettere in contatto con il centro di terapia del dolore più vicino (sul sito di FederDolore) dovrebbe essere teoricamente il medico di base, ma questo non sempre avviene. “La rete è composta da centri di alta specializzazione (Hub), dove si trattano i pazienti con dolori cronici più complessi e di interesse chirurgico, e da centri Spoke, a diffusione territoriale, che operano in regime ambulatoriale e si trovano all’interno degli ospedali”

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